venerdì 21 settembre 2012

I VUOTI FELICI DELLA MEMORIA DEI SARDI

Popoli come il nostro, reduci da lunghe e selvagge colonizzazioni, possiedono di solito una conoscenza offuscata del loro passato. Gli oppressori ebbero tutti gli interessi per manipolare il retaggio degli oppressi, sia per ribassarne l'autostima che per dare all'oppressione stessa una facciata civilizzatrice. Gli storici sono spesso caduti in questa trappola. Ci si illustra, per esempio, l'espansione dell'Impero Romano in chiave di civiltà(cosa in parte vera). Ma poco ci si sofferma sul fatto che quella Civiltà ne ha spesso frustrato delle Altre con i metodi della violenza.

Sorgono a tal punto una serie di lecite e per niente inutili domande: come sarebbe, verbigrazia, la Sardegna attuale se i Romani non avessero posto fine all'epopea Nuragica ... se i Catalano-Aragonesi non avessero troncato l'avveniristica avventura Giudicale? e ancora: come sarebbe l'America Latina di oggi senza i noti saccheggi di Civiltà e di tesori? quale il tenore sociale/politico/economico/ dell'America del Sud se la felice esperienza delle Riduzioni Gesuitiche non fosse stata brutalmente stroncata dagli intrighi massonici? e i Daci? e gli Indiani dell'America del Nord? e le tante altre Civiltà sparite per cause analoghe?
Oggi non siamo da meno! Tra il XIX e XX secolo, sull'ara della vorace Civiltà Occidentale, sono state sterminate più di cento etnie; altre ridotte all'ebetismo culturale. Un pernicioso boomerang per noi umani evoluti (!) che insieme a quelle “Sagge Civiltà Tribali” abbiamo quasi perso il midollare assetto dell' esistere : il rispetto verso gli altri e il simbiotico rapporto col Pianeta.

Certo: la storia non si basa sulle ipotesi, su ciò che non fu. Ma riflettere su quanto sopra, come già espresso, non è un vano esercizio. Gli ampi spazi felici del proprio od altrui passato(inclusi quelli interrotti bruscamente) potrebbero, per esempio far prender coscienza che se allora si è stati capaci di costruire stili di vita dignitosi, potenzialmente lo si è anche oggi. Non riesumando remote epopee (pretesa assurda), ma cogliendone i genuini atteggiamenti di fondo(meno quelli di matrice violenta) che potrebbero arricchire il presente. Potremmo verbigrazia riscattare come il centro propulsore di una civiltà sia la volontà (rettamente intesa), il desiderio (e praktiké) di costruire cose sane/buone/belle/utili/piacevoli: per il proprio gruppo, per tutti(la civiltà di un popolo va sempre a beneficio dell'intera umanità ).

Ma torniamo in Sardegna. Quanto conosciamo della nostra storia? In genere poco niente. E quel poco... ben confuso. Non si tratta di esagerare: è semplicemente così. Abbiamo forse una qualche infarinatura sulla Civiltà Nuragica, la dominazione fenicia (che dominazione non fu), i Cartaginesi, la dominazione romana, quella spagnola. Alcuni addirittura citano quest'ultima come se si fosse trattato di un gemellaggio (!) così ben riuscito che ancor oggi se andiamo in Spagna, per farci capire basta parlare in sardo(ita fregulada manna!). Poi i (dominatori) Piemontesi col Regno di Sardegna, dal cui prolungamento nacque l'Italia; quindi a noi il vanto...(atera tontesa toga là!).
Non si tratta di ironizzare sulla nostra ignoranza, ché in buona parte non ne siamo colpevoli; nessuno ci ha insegnato la nostra storia. A scuola non risulta al catasto. Abbiamo studiato gli Etruschi... i Comuni... gli Irredentisti... Senza dubbio cose interessanti.
Ma la nostra storia, seppure abbia relazioni con la Penisola(allo stesso modo che con altre Geografie) fa parte di un percorso a se stante e di sommo interesse. È quindi nostro diritto conoscerla, fin dalla Scuola Primaria.
La sua assenza dai programmi scolastici mette in evidenza una grave lacuna culturale.
L'altro aspetto del problema riguarda l'inquadramento obiettivo di questi eventi storici.
Sulle striminzite conoscenze del nostro trascorso, “domina” un termine: “dominazione”(tautologia più che dovuta). La nostra storia sarebbe un cumulo di dominazioni, le quali, tutto sommato, portarono quel poco che c'è di buono (cf. proemio). Questa fuorviante retrospettiva ha logorato per troppo tempo la percezione di noi stessi! Per fortuna la storiografia degli ultimi decenni sta refutando la travisata prospettiva, mostrandoci una verità molto più semplice: abbiamo avuto alti e bassi, come tutti i popoli.
Ma sono i “bei tempi” che ora c'interessano, ovvero: le più che dignitose civiltà da noi create.
In fondo è questo il grande debito che la critica storica ha nei nostri confronti: svelare quei momenti felici in tutta la loro autoctona bellezza! Perché, anche noi siamo bravi quanto gli altri: a volte di meno; ma, a volte... di più!

E tutto ciò dobbiamo raccontarcelo, semplicemente perché... ci fa bene.

Pensiamo per esempio al Periodo Nuragico e a quello Giudicale: due lunghi-intensi capitoli(fra altri) della nostra storia da non poter in nessun modo ignorare. Due momenti in cui fummo forgiatori della nostra politica, della nostra arte, della nostra economia, della nostra felicità. Due momenti in cui la nostra specificità interessava agli altri(popoli) e viceversa, senza sovrapposizioni identitarie. Due momenti in cui parlavamo la nostra lingua senza disdegnare le parlate internazionali, che veicolavano intensi interscambi di diverso genere. Due momenti che hanno visto il loro tramonto non per implosione, ma per cause piuttosto esterne. Due momenti i quali emblematicamente dicono che: civiltà di spessore, nell'Isola, è stata prodotta solo quando ci siamo autogovernati.
Anche allora, certo, esistevano crisi, conflitti, intrighi; non stiamo parlando di parentesi idilliache. Ma si trattava di situazioni “non passivamente delegate”(come accade ora), visto che anche in questi casi eravamo noi i primi attori.

Della Civiltà Nuragica(1700-II sec. a. C.)si potrebbe risaltare l'interessante organizzazione politica, antesignana, probabilmente, di quella Giudicale. Aggiungiamo pure la straordinaria scoperta del 1974: i Giganti di Monte Prama”. Imponenti statue che hanno attratto l'attenzione di storici e archeologi di diverse nazionalità; opere capaci di rimettere in discussione le fin'ora quasi assodate teorie sulla statuaria nel bacino Mediterraneo. Un inestimabile tesoro archeologico la cui portata, forse, non è stata ancora del tutto soppesata.

La Civiltà Giudicale(900c.-1420). All'avanguardia per i tempi. Nessun'altra organizzazione politica reggeva il confronto. Quando ancora nella Penisola Italica ed Europa post Impero (Romano) imperversano il caos e gli anni del piramidale/rigido/chiuso/assolutista/schiavizzante sistema feudale (dell'Impero Carolingio), in Sardegna esistono quattro Stati Liberi e Sovrani a regime semi democratico, ove, in certo modo, vige il senso della “res pùblica”. Per cui il signore (su Judike) non è, come il feudatario o l'imperatore, padrone assoluto, ma amministratore di un Bene non suo (su rennu), perché del Popolo. Quest'ultimo ha facoltà di togliere il potere(come avvenne in alcuni casi)qualora il Judike non lo usi col preposto fine.
Anche dalle leggi, le Cartas de Logu, traspare un embrionale stato di diritto. È pervenuta a noi quella (del Giudicato) d'Arborea. Viene redatta da un team di specialisti, in lingua sarda, per volere di Mariano IV(+1376)e aggiornata dalla figlia Eleonora(+1402c.). Un capolavoro civile e penale(checchè ne dicano alcuni) le cui norme contemplano la difesa della donna, dei minori, la salvaguardia dell'ambiente, la riscossione delle tasse proporzionata al reddito degli abitanti ("...segundu sa fortza issoro") ; cosa inaudita per quei tempi (e per i nostri! ) 

Anche i Giudicati - in parte figli del tempo - dichiarano guerre e stipulano alleanze: tra di loro, con altri Stati. Così pure l'aspetto semi democratico non sempre si esprime nelle formalità oggi intese (il popolo, verbigrazia, solitamente sopprimeva con morte violenta il Judike corrotto o tirannico). Ma lo stacco tra la qualità politica giudicale e quella del resto d'Europa rimane comunque notevole. La stessa cittadinanza lo conferma. Quando già parte dell'Isola geme sotto il mal governo (feudale) ispanico, i sardi ivi sottomessi fanno di tutto per approdare al più equanime e florido Giudicato d'Arborea.

Ma non finisce qui. A dispetto del ritrito “pocos, locos...”, a quei tempi si era uniti! Mentre Mariano IV sta ricacciando con ampio successo gli Iberici, da tutta l'Isola arrivano uomini a dar man forte! Idem per la coraggiosa ma sfortunata battaglia (vera e propria legittima difesa) di Sanluri (1409).

Per queste ed altre peculiarità:“ I Regni sardi erano considerati [nel panorama internazionale] un'ambita fonte di prestigio e di potenza”(F.C. Casula, Breve Storia di Sardegna, p.113). Centri di cultura letteraria ed artistica, come la corte di Ardara (cf. Ivi, p.117) o i monasteri sorti in tutta l'isola(che diedero notevole incremento all'economia giudicale), sono alcuni dei poli che nutrono questa fabbrile civiltà. Non è un caso che Federico II Hohenstaufen di Svevia ambisca imparentarsi(1238) coi reggenti (del Giudicato) di Torres.

Non è comprensibile - o forse sì? - come mai la storia Giudicale venga ignorata dai testi scolastici italiani (visto che all'Italia, per il momento, siamo annessi).

Questi minimi cenni storici non hanno pretese accademiche. Il solo desiderio che serbano è quello di provocare. Sì: provocare. Sollecitare le emozioni represse di ancora troppe donne e uomini sardi che sulla falsa riga di un passato disgraziato hanno costruito i loro miseri pagliericci; perché, si sa: ai dominati, non resta altro che sonnecchiare.

Ora non ha più senso vivere assopiti. Possiamo felicemente colmare gli spazi vuoti della nostra memoria e lasciarci interpellare, se ne abbiamo voglia. Dico bene: “se ne abbiamo voglia”. Ma questo è già un altro discorso.
                                                                                              (Ignazio Cuncu Piano)

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