giovedì 6 settembre 2012

ISOLANI O ISOLATI: A NOI DECIDERE.

Isolano e... isolato!”. Così un caro amico poco amante degli eufemismi, suol definire la sua realtà di sardo. A prima vista ci sarebbe poco da sindacare: molti (sardi) s'identificano in questa frase.
Eppure...! Eppure la cruda sentenza può trovare il suo contrario: isolano non fa sillogismo con isolato! Vedi, verbigrazia, la storia d'Inghilterra. Ah, grazie! L'Inghilterra è l'Inghilterra! E allora? Se altri vivono storie altre, perché noi no? Poi mi viene in mente Malta, o le Isole Associate alla Nuova Zelanda (Cook, Niue, Tokelan...). Tutte genti felicemente... non isolate.

Molte valli alpine del nord Italia, hanno conservato, fino a non troppi anni fa, situazioni di quasi totale isolamento culturale oltre che geografico; eppure non di isole (in senso geografico) si tratta. 

Qualche anno fa, la ragazza che lesse il saluto dei giovani sardi al Papa (in visita a Cagliari nel settembre 2008), parlò del mare come di una “gabbia d'oro”. Comprendo la difficile situazione giovanile che quella frase recava. Ad ogni modo mi è parso di cogliere una vena d'insoddisfazione, quasi che nascere in un'isola sia una sorta di penalità, di sfortuna.

La fantasia vuol plasmare allora una favoletta nella quale: “Tutto il Popolo Sardo, riesumando usanze remote, dopo solenne assemblea decise all'unisono l'abbandono della landa di Ichnusa per approdare a lidi migliori, dove le strade non fossero troncate dai flutti. Ma che stupore quando, già in mare aperto, incrociarono numerosi uomini, donne, anziani, bambini e giovani che - saputa la notizia - remavano entusiasti verso la ormai disabitata Ichnusa, per ripopolarla! E fu lì che le Genti Sarde, tra l'invidia e il rimpianto, s'accorsero che le acque non blindavano affatto quell'angolo di paradiso che il buon Dio aveva loro affidato. Sì, troppo tardi capirono che le strade della terraferma, lungi dallo spezzarsi, prolungavano all'infinito nelle cristalline autostrade acquee che portavano in ogni dove, adornando l'isola con variopinti colori di libertà”.

Ma - per fortuna! - di favola si tratta: una trama che la nostra stessa storia sa confutare.

Basti pensare - per esempio - agli illustri antenati : i Nuragici. Creatori di una Civiltà decisamente al passo coi tempi (per l'epoca) se non superiore in cersi aspetti, sono protagonisti di interscambi tecnologici (sempre in rapporto con l'epoca) in tutta l'area Mediterranea, arricchendo ed arricchendosi in molti aspetti. L' interazione commerciale e culturale con gli altri (popoli) è quindi parte del loro normale tenore di vita. I Nuragici, nostri antenati: un Popolo sanamente inserito nella propria identità. Un Popolo che non sa che farsene degli ossidati vasconi dei rapaci "Scafisti Tirreni(a) et altri", perché può contare con un'efficiente flotta navale battente Bandiera tutta Sarda! Un Popolo capace di esercitare sovranità in Casa propria, tanto da far pagar le dovute Tasse Portuali a coloro che approdano negli attrezzati, ben manutenuti e custoditi porti dell'Isola (oggi sono Esterni che ci (tar)tassano il diritto al suolo nostrano). Un Popolo capace di metter prezzo ai propri pregiati prodotti. Un Popolo capace di fondare città marittime (Nora, Tharros, Bithia, Karalis...): dignitose vetrine di una civiltà che possiede il “dentro e il fuori”. Un Popolo capace di mettere a frutto l'ambita locazione della propria Patria. Un Popolo che sa usare il mare per aprirsi ma anche per proteggersi. Perché il mare è una lama a doppio taglio e va gestito con sapienza: è piazza di scambio per ciò che è buono e arricchente, ma all'occorrenza dev'essere barriera protettiva contro quanto minaccia saccheggio di: cultura, identità, economia, sovranità, lingua. Penso in proposito  agli abitanti dell'isola Niue, che pur conoscendo l'inglese( lingua portata dal mare), si sono ben guardati dal dismettere la lingua madre: privilegiato vettore della propria identità culturale.

Tutte queste cose le nostre Madri e Padri dei nuraghi (le esemplari reliquie lasciateci, emblema, tra l'altro, di avanzata tecnica architettonica) seppero realizzarle. Cosa avevano in più di noi? Non lo so; forse niente. Forse erano semplicemente felici della loro realtà di isolani, evidenziandone gli aspetti positivi, al contrario di noi. Sono stati creativi partendo da ciò che erano e da ciò che avevano, senza dover importare tronfie chimere; senza dover immolare vergini oasi ai puzzolenti e parassitari Minotauri della Chimica e della Guerra; senza scimmiottare i fighetti di turno che approdano con le loro paccottiglie. Eppoi: erano Loro che aprivano e chiudevano le porte di Casa, perché, fino all'arrivo dei Guastafeste, furono liberi e sovrani! Lo sappiamo: una persona o un popolo si isola quando si rende incapace di gestire la propria libertà.

Oggi i nostri campi, monti, valli, coste, quelle che un tempo erano le nostre strade fatte di mare e di terra, sono imbrigliate da una politica e imprenditoria burattinaie che “da fuori” muovono fili; fanno e disfanno in base a disegni a noi non confacenti, a noi non convenienti, a noi solo dannosi.

Sarà questo tipo di insularità subita/ avvilita/ infantile/ scandalosamente priva di sovranità, la vera causa del nostro isolamento? Sospetto di sì!

A questo punto non è proibito ma doveroso, cominciare a sognare da adulti, sognare sul serio. Sì, sognare come potrebbe essere la nostra insularità se sciogliessimo ormeggi e  salpassimo l'àncora da uno Stato oltremare che non tollera i nostri autentici aneli identitari, non rende il dovuto, spadroneggia sulla nostra remissività, che usa Sandalios come nave-carretta, laboratorio per misteriosi-sinistri esperimenti di guerra, recondito sgabuzzino per attrezzi pericolosi e materiali velenosi; solo per dirne alcune.

Perché la realtà è che nostra storia dice isolamento e degrado allorquando siamo stati assoggettati. Viceversa, parla di alta civiltà, di forte identità, di intensi interscambii culturali-economici con altre civiltà, quando siamo stati sovrani di noi stessi e possessori di una nostra identità. Penso alla già menzionata epoca nuragica (e pre-nuragica). Penso al fiorente periodo Giudicale. Penso alla breve ma significativa parentesi di libertà conquistata nel 1794 (la cacciata dei Piemontesi).  Pura coincidenza?

Morale della Favola :

noi Sardi dobbiamo smetterla di dare colpe all'Isola, al mare, ai flutti... e riflettere seriamente e una volta per tutte sulle ragioni profonde del nostro patire da isolati. Riflettere e imparare a prender decisioni... sovrane, adulte, sceme da rancori, divisioncelle, offesucce e ripicche da "bambini sciocchini per motivi piccini" che tanti treni ci hanno fatto perdere lungo la storia e che offrono fianco debole ad astuti avvoltoi di estranei ecosistemi e a pseudo-furbetti nostrani (i quali, ignari di darsi la zappa sui piedi, son) disposti a svendere la Primogenitura per un misero piatto di lenticchie. Forse sarà duro ammettere che le cause di cotanto isolamento non stanno solo e tutte all'esterno, ma anche, o soprattutto, in noi stessi. Ma sarà piacevole e stimolante scoprire che anche le risorse nuove si trovano... in noi stessi! Risorse da convogliare in gesti determinati e non violenti, con signorilità, rispetto verso tutti, incluso lo Stato Italiano: emblema di una Nazione che rispettiamo e valorizziamo nell'alterità identitaria. Una non violenza intelligente/strategica/creativa, densa di educata fermezza e nobiltà (quella singolare nobiltà d'animo che ci caratterizza quando facciamo sul serio), priva di arrabbiate volgari, d'insultanti e sterili smorfie che lasciano il tempo che trovano e fanno sorridere i furbi e approfittatori avversari.

Dopo accurata e acuta riflessione, forse ci convinceremo che non siamo vittime di una “sinistra predestinazione cosmica”, così come gli Inglesi, i Maltesi, i Nuragici e tutti gl'isolani felici di questo mondo non sono stati privilegiati da nessuna favorevole costellazione che brillò o che brilla apposta per loro!

Non siamo nemmeno più o meno intelligenti, più o meno fessi, più o meno o incapaci degli Inglesi, Maltesi, dei nostri Antenati o di chicchessia.
Nemmeno l'odiosa scusa del “siamo così!” ha più senso; perché altri Popoli, reduci da recenti devastanti/isolanti tirannie, stanno brillantemente risorgendo dalle proprie ceneri, adottando coraggiosi ed efficaci cambiamenti di rotta.

Quindi si può! Prenderne coscienza, è il primo felice gesto di rottura da quell'isolamento che risiede solo nella nostra testa e negli attuali diktat (politici/economici) a noi imposti e da noi accettati.
Il resto, pian piano, viene da se'.
                                                                                     
                                                                                                           (Ignazio Cuncu Piano)

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