(Breve biografia di Francesca Sanna Sulis)
Non intendo narrare la Russia degli Zar, l'India dei Mahatma, la Cina Imperiale e nemmeno il Medio Oriente delle Mille e una Notte. Senz'altro queste grandi culle di civiltà lo meriterebbero, ma non adesso.
Non intendo narrare la Russia degli Zar, l'India dei Mahatma, la Cina Imperiale e nemmeno il Medio Oriente delle Mille e una Notte. Senz'altro queste grandi culle di civiltà lo meriterebbero, ma non adesso.
Desidero invece raccontare un'avventura molto più vicina e bella.
Bella perché meravigliosamente normale e geniale al contempo.
Un'avventura costruita da gente normale che sa rendere geniale e
creativo il quotidiano. Si tratta di una lunga storia che ha come
protagonisti donne sarde, uomini sardi e la Sardegna; una storia che
fino a qualche anno fa, ahimè, non conoscevo. Una storia che va
raccontata, perché apporta alla nostra memoria un tassello felice. E
di tasselli felici la nostra storia ne ha talmente tanti, che se
dovutamente disposti e incastonati assieme a quelli... meno
felici, sarebbero, o meglio... sono in grado di offrirci un
quadro del nostro trascorso assai più equo rispetto ai racconti di
certi catastrofisti cantastorie.
Mi appresto a raccontare, con poche ed imprefette pennellate, l'avventura
di alcuni bachi da seta, i quali:
“Scoprirono come il clima e l'ecosistema della Sardegna, fosse
perfettamente rispondente alle loro vitali esigenze. E chi si trova a
suo agio in un luogo, di solito ci fa casa, mette su famiglia e vi
impianta bottega, soddisfatto e creativo. E fu proprio quello che i
nostri laboriosi animaletti fecero in questo lembo paradisiaco del
mondo: cominciarono di buona lena a tessere il prezioso filamento con
quel tocco in più d'eleganza e precocità offerti dal vantaggioso
contesto ambientale”.
La cosa
sarebbe passata certo in sordina se non fosse caduta sotto l'attenta
osservazione di una donna intelligente, intuitiva, audace, colta,
imprenditrice, organizzatrice, sensibile ed efficacemente impegnata
nella promozione umana: Francesca Sanna Sulis”.
Francesca Sanna Sulis* nasce a Muravera, nel 1716, in seno ad una
famiglia benestante dedicata all'agricoltura, all'allevamento ed al
commercio. All'età di 19 anni convola a nozze con Pietro Sanna
Lecca, brillante giureconsulto cagliaritano.
I due coniugi fissano la loro dimora nel capoluogo isolano. Qui
Francesca approfondisce la propria formazione culturale, con un
taglio, oltre che umanistico, sociale ed imprenditoriale. Si tratta
di uno studio non fine a se stesso, ma proteso a fini di alto volo,
squisitamente nobili.
L'attenzione sociale della Sanna Sulis infatti è rivolta alle
giovani generazioni delle classi più povere, con particolare
attenzione alla condizione delle ragazze. Queste ultime sono
doppiamente disagiate per l'impossibilità di crearsi un'indipendenza
economica (la dote matrimoniale, per esempio) che possa veicolare il
loro futuro, qualora la famiglia non ne abbia le possibilità.
La Nostra comincia a prender coscienza che la propria indole
sensibile, di fronte a tale miserevole scenario, non può limitarsi
alla sterile commiserazione. Altri aspetti della sua stessa
personalità devono esser chiamati in ballo: la capacità
decisionale, la tenacia, la voglia di fare. Insomma: è troppo
intelligente (da “inter lègere”: saper vedere/agire in
profondità) per non capire che può e deve fare qualcosa, ché la
posta in gioco è niente meno che la dignità di un Popolo: il suo Popolo.
La storia dell'umanità è densa di lieti paradossi che raccontano come cuori sensibili e generosi abbiano trasformato le più
agghiaccianti situazioni umane in vere e proprie avventure di
misericordia (misericordia: entrare in feconda empatia con chi ha
bisogno, per produrre speranza dalla disperazione, vita dalla morte). Si tratta di uomini e donne
che il più delle volte operano nell'anonimato questi “miracoli del
cuore”. Peccato che i mass media, così indaffarati nel terrorizzare
(per conto di chi ?! ) con continui bollettini di guerra
(certo, i problemi esistono...), non sappiano – non vogliano? -
trasmetterci le tante buone gesta che, alla fin fine, sono quelle che
apportano linfa vitale al mondo.
Ma riportiamoci al '700 sardo. Pare che Francesca, nella tenuta di
famiglia, sia sempre stata attratta dalla buona resa di alcuni gelsi,
favorita dal clima e dalle caratteristiche del terreno. Saranno
proprio questi alberi ed i loro preziosi degustatori, i bachi, a
suggerire alla nostra protagonista l'inizio di un'avventura
decisamente grande.
Decide così di incrementare un'ampia coltivazione di gelsi (nelle
campagne tra Muravera e Quartucciu) e ad intraprendere, con molta
audacia, l'arte della bachicoltura, filatura e tessitura. Questo tipo
di attività imprenditoriale diventerà la risposta concreta al suo
intimo anelo: creare un ambito di lavoro dignitoso alle ragazze e
ragazzi appartenenti al popolo affamato e oppresso. Un sogno che
diventa realtà. Nel giro di alcuni anni, nelle le colture di gelso e
nei laboratori (allestiti coi più moderni telai dell'epoca) per la
lavorazione del prodotto, trovano lavoro centinaia di giovani, per lo
più donne.
Ma donna Francesca non è ancora soddisfatta. Le sue ragazze, i suoi
ragazzi, meritano molto più che solo lavoro, meritano: “formazione
culturale e professionale”. Quest'intuizione, oggi del tutto
acquisita, per quei tempi e nella realtà di una Sardegna che
persiste ancorata nel feudalesimo, racchiude una valenza quasi (o
senza quasi) rivoluzionaria.
Nascono così per sua iniziativa vere e proprie Scuole Professionali,
fornite di docenti tra i più competenti nel settore. Non vi si
insegna solo l'arte del baco e della seta, ma anche a leggere,
scrivere, studiare, “attraverso veri e mirati piani scolastici
di formazione di base” (Lucio Spiga), in modo che, quelle
giovani e quei giovani che si scoprano portati, possano valorizzare
appieno le proprie capacità intellettuali. Alla fine del corso di
formazione, ogni ragazza riceve in dono un telaio nuovo di zecca:
simbolo dell'autonomia umana ed economica
che un'autentica formazione deve fomentare .
Le suddette scuole, per la loro concezione articolatamente moderna, non hanno antecedenti in Europa. Il Regno d'Italia, per esempio, vedrà sorgere i suoi primi istituti professionali, dal 1859 in poi.
Le suddette scuole, per la loro concezione articolatamente moderna, non hanno antecedenti in Europa. Il Regno d'Italia, per esempio, vedrà sorgere i suoi primi istituti professionali, dal 1859 in poi.
E a proposito di incremento professionale, mi si permetta una
parentesi storica e volutamente polemica: sarei curioso di sapere - per esempio - quanti
operai sardi della Saras (sì, quella che avvelena gli
abitanti di Sarroch e non solo), dalla fondazione (1965?) ad oggi,
siano arrivati al top della formazione professionale e manageriale in
campo petrolifero. Non ho la risposta, ma temo di rimanere deluso!
Altra curiosità: quanti utili offre alla collettività sarda, la
Saras (ed altre realtà industriali simili) in proporzione
all'altissimo scotto ecologico (ed economico) che si sta pagando?
Questa risposta sì la so... la sappiamo tutti: minimi, irrisori : è
(molto) più la spesa che l'impresa !
Simile devastazione ecologica ed
economica (ovvero: calpestio dei diritti umani) non si
giustificherebbe nemmeno se si ribassasse il combustibile a tutti i
residenti isolani (cosa che, stiamone certi, mai
avverrà). Se poi c'aggiungiamo il “Progetto
Eleonora”, (non è la
prima volta che nella storia sarda il nome di Eleonora è manipolato
a danno di... Eleonora) - per fortuna massicciamente contrastato da
mobilitazioni di cittadine e cittadini vocati al bene della propria Patria - eccoci che pioverebbe sul
bagnato, e si arriverebbe (speriamo di no) all'ennesimo caso di
sfruttamento selvaggio legalmente riconosciuto!
Insomma, non c'è che dire: i signori dirigenti della Saras (et
altri!) avrebbero urgente bisogno di un intensivo corso su “etica
imprenditoriale” dettato dalla settecentesca donna
Francesca Sanna Sulis!
Chiudo la parentesi e torno al Diciottesimo... ché forse è meglio
(non sempre il passato – per certi aspetti - è sinonimo di
maggiore arretratezza rispetto al presente!).
Le già citate scuole professionali tendevano ad innalzare la qualità
delle persone prima di tutto, ma anche quella del prodotto elaborato.
Si trattò di un'altra idea all'avanguardia per l'epoca: la qualità
rende competitivi nel commercio internazionale. La qualità
onestamente pubblicizzata... premia. E la qualità premiò
abbondantemente gli sforzi di donna Francesca e dei suoi amati
giovani.
Fu proprio per qualità superiore, che la seta sarda venne
massivamente richiesta in più parti d'Europa. Inoltre, i precoci
tepori primaverili isolani anticipavano la “schiusa dei semi”
di circa un mese rispetto agli altri luoghi, con gli intuibili
vantaggi commerciali che ne derivavano.
Le cronache narrano addirittura di sei golette noleggiate dalla Sanna
Sulis per traghettare verso i porti europei la la seta e gli abiti
confezionati dai suoi laboratori.
La fama dei bachi nostrani si protende fino all'aristocrazia
femminile di Casa Savoia, che richiede di essere fornita e... vestita
da donna Francesca, che nel frattempo è diventata anche una
prestigiosa e creativa stilista: “Per parecchi anni le sue
collezioni furono proposte al pubblico milanese a palazzo Giulini”
(Maria Paola Masala) .
Anche la zarina Caterina di Russia (+1796) viene a conoscenza dell'alta moda inaugurata in Sardegna, e non dubita un istante nel scegliere di “coprirsi” con cotanta morbida eleganza.
Anche la zarina Caterina di Russia (+1796) viene a conoscenza dell'alta moda inaugurata in Sardegna, e non dubita un istante nel scegliere di “coprirsi” con cotanta morbida eleganza.
L'attività lungimirante della Sanna Sulis ( insieme a quella di
altre donne che citerò più sotto), arreca un grande beneficio in
tutta la società sarda, permettendo la rivitalizzazione del tessuto
economico che ruota intorno agli imprendimenti da lei sostenuti:
“Avviò [anche] tentativi di sviluppo dell'agricoltura […].
Queste iniziative, che intanto si estesero in varie località sarde,
ebbero il merito di far diminuire il numero dei disoccupati
e di evitare l'importazione dei manufatti, che a quei tempi venivano
pagati a prezzi altissimi.[…] Favorì l'esportazione di [...]
prodotti che portarono alla Sardegna capitali notevoli” (Lucio
Spiga).
La lunga e felice avventura terrena di questa splendida donna termina
in bellezza nel 1810. Si può morire in bellezza? Direi di sì. La
morte può essere addirittura l'ultima opportunità per amare,
l'ultimo gesto di carità (su questa terra), il tocco finale di una vita
trascorsa all'insegna della... vita. Cediamo parola ad un estratto
del testamento: “ In primo luogo ordino e comando che [mi] si
dia sepoltura [...] nel modo più semplice e senza pompa magna alcuna
[…]. I beni, terre e tanche è mia espressa volontà si divida tra
quei poveri [...] i più necessitati preferendo quelli di migliore
estrazione e di buoni costumi”. L'amore niente trattiene e dà tutto di se'.
Pare proprio che questa “pioniera dell'imprenditoria femminile e
della formazione professionale” (Masala), abbia
disposto di ingenti ricchezze! Ma quando la ricchezza materiale
diventa espansione d'amore, quando chi possiede tanto si fa di quel
“tanto” saggio amministratore come se niente fosse suo, e tutto
usa come strumento funzionale ad allargare gli orizzonti di vita di
chi dalla vita ha avuto poco o niente... allora il mondo acquista
colori variopinti.
Donna Francesca Sanna Sulis è stata una donna che ha saputo dar
colore al mondo, ai cuori. Di questi artisti ha bisogno l'umanità!
Per avere un quadro più completo dell'imprenditoria femminile sarda
dell'epoca, mi permetto di aggiungere quanto: “Anche sua sorella
[della Sanna Sulis] Lucia intraprese questa professione, ma in
un'altra zona della Sardegna, quella di Sassari. In quegli stessi
anni altre donne si dedicarono alla bachicoltura; erano figlie del
marchese Giovanni Manca di Villahermosa: Maria Caterina, Anna,
Giuseppina, Maria Teresa, Antonietta e Bona. Soprattutto la
marchesina Anna era molto intraprendente; soggiornava spesso fuori
Sardegna per approfondire tecniche imprenditrici” (Donne e
storia, ed. Kita, 2011, pag.124).
La vicenda di Francesca e di queste altre donne decisamente
emancipate per i loro tempi (e anche per i nostri), richiama ad una
costante nella storia sarda, attraversata da un'intensa “scia
rosa” che ha lasciato tracce felici nella nostra memoria. Le giudicesse Elena di Gallura, Benedetta di Calari (tra le prime regnanti donne in Europa), Eleonora d'Arborea, Francesca Sanna Sulis e le altre
imprenditrici qui citate, Gabriella Sagheddu, Grazia Deledda, Paola Satta, Adelasia Cocco Floris, Antonia
Mesina, Maria Lai, Maria Giovanna Dore (e tante eroine dell'anonimato) : donne che hanno saputo esprimere,
ciascuna nel proprio contesto, d'accordo alla propria indole e ai
propri valori di riferimento, una granitica coerenza nel portare a
termine quella missione da loro intesa come tale.
"Nelle campagne di Muravera, Quartucciu, Laconi e Sassari" (ivi, pag. 128), si possono
contemplare ancor oggi numerosi alberi di gelso che ci rimandano,
composti, silenti e un po' malinconici, ad una meravigliosa
storia di donne e di uomini, che purtroppo non è più. Una storia
che c'interpella con quella forza evocativa di ciò che, anche se già fu, potrebbe - perché no? - tornare a... essere.
Niente e nessuno regalò a questa donna ciò che ella
riuscì a realizzare, la quale si trovò a dover "superare non poche difficoltà per ottenere quanto ai soli imprenditori maschi era allora concesso anche dai monti granatici, che finanziavano le imprese agricole" (Spiga, Francesca Sanna Sulis, Workdesign, 2004, pag.63). Tutto ciò che ottenne fu conquistato, palmo a
palmo, dalla sua voglia di fare, di far bene e di far del bene, dalla
voglia di innovare e di rischiare per sana autostima e amore alla sua amata Gente.
Non so se oggi le cose siano più facili o difficili di allora. Ogni
epoca ha i suoi pro e contro. Ma di una cosa son certo: alla luce
della tenacia di Francesca, qualsiasi obiezione del presente acquista
il sapore di una deplorevole e smentita scusa per non fare, per non creare, per non rischiar di nostro; per rimanere riversi sul comodo pregiudizio “ch'è
inutile tentare perché oggi, come sempre (?) ogni vento ci soffia contro con forza inrisalibile!”.
In effetti nell'Isola, soprattutto quando è Maestrale, il vento soffia forte.
Anche al tempo di Francesca Sanna Sulis quel vento soffiava forte.
Lei riuscì a mettersi di spalle, a farsi spingere. Ma anche a navigar di bolina; e all'occorrenza, a usare muscoli propri e remi, per vogar con bonaccia.
Ignazio Cuncu Piano
* La maggior parte dei dati biografici, sono estratti dal libro: “Donne
e Storia”, pagg. 123-129
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